Thomas Merton: “Ciò che
dobbiamo essere è ciò che siamo”

Il Novecento ci ha donato grandi figure cristiane, che,
proprio ai nostri giorni, ci sembra prezioso ricordare. Tra queste, di sicuro,
potremmo citare Thomas Merton, monaco trappista, arrivato alla fede cattolica
attraverso un lungo percorso di ricerca umana, culturale e religiosa. La sua
opera più conosciuta, La montagna delle sette balze, è un libro che non
può mancare nella libreria domestica.
Scorrendo la sua biografia , che inizia nel 1915 e termina
nel 1968, due date decisive per la storia del XIX secolo , predominano su tutti
tre fattori : il viaggio, la sofferenza, una ricerca religiosa senza fine.
Gli spostamenti geografici di Merton sono impressionanti:
per motivi familiari, di studio, professionali e di ricerca spirituale, le sue
strade conducono verso tutti i continenti.
In famiglia ha avuto una serie continua ed impressionante di
lutti. Dalla sua vita si sono nell'ordine allontanati la mamma, il padre ed il
fratello ( morto in guerra ).
Infine l'ultimo dei fattori citati: la ricerca religiosa. Di
fede anglicana per eredità familiare, si converte al cattolicesimo, diventando
trappista, e verso la fine della vita si apre, sempre entro la piena
ortodossia, ad un confronto con l'Oriente.
Nonostante questo dinamismo e tormento esistenziale, la sua
biografia interiore è guidata da una ferma e serena costante, quasi un progetto
spirituale. Ciò è confermato da una delle sue ultime conferenze, tenuta a
Calcutta: “Il livello più profondo di comunicazione tra gli uomini non è
comunicazione, ma comunione”.
Le varie esperienze vissute da Thomas Merton, tiene a
precisarlo più volte, non sono teoriche, compromettono invece la vita stessa.
Non si tratta solo di pensare con la testa, bensì di ritrovare il baricentro
perduto: “Non scopriamo infatti una nuova unità, ne scopriamo una più antica.
Noi siamo già uno”.
Quale, allora, la via maestra per “ritrovare” ciò che, anche
in noi, si è disperso? La porta principale per rientrare nella nostra più profonda
dimensione interiore è il silenzio: “ Il livello più profondo è comunione. E'
senza parole. E' qualcosa che va oltre le parole , oltre il discorso ed oltre
il concetto”.
Ma con tale atteggiamento interiore, Merton non ha mai
voluto tenere a distanza il mondo. Per lui lo
spazio fisico chiamato “mondo” non è un qualcosa con cui compromettersi
fino all'annientamento o, all'opposto, una realtà da cui fuggire.
La teologia del
nostro monaco trappista è “vissuta”, visto che, come scrve: “Dio si agita nel nostro
sangue, all'interno del fluire stesso della nostra vita”.
Per questo, visto che siamo noi gli attori principali della
nostra identità, non dimentichiamo mai che: “La presenza della fonte infinita
dell'essere è proprio nel mezzo del mondo e degli uomini”.
Franco Banchi
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