LE VITE DEGLI ALTRI
IL FILM
Berlino Est, 1984: Georg Dreyman, drammaturgo, e Christa-Maria Sieland, sua compagna e attrice famosissima, sono considerati fra i più importanti intellettuali dal regime comunista. Finché il ministro della cultura vede uno spettacolo di Christa-Maria, se ne innamora e dà l'incarico al migliore agente della Stasi di spiare la coppia. Con i sofisticatissimi sistemi di intercettazione l'agente HGW XX/7 entra nelle loro vite registrando ogni loro passo, ogni loro parola, fino a interferire con le loro azioni. Ma l'intreccio tra le vite degli altri e la sua finisce per stravolgere il destino di tutti.
Dal 1950 al 1989 la Stasi, polizia segreta della DDR (Germania dell'Est), costituì un regime poliziesco ancor più efficace del KGB nell'URSS di cui aveva copiato e applicato i metodi. Caduto il Muro, i suoi capi non riuscirono o non vollero distruggere gli archivi che, lunghi 180 km, furono aperti al pubblico. Frutto di quattro anni di ricerche e di lavoro sulla sceneggiatura, questo primo film di un giovane regista dal cognome altisonante (con antenata italiana) è un'opera prismatica e inquietante che potrebbe diventare il modello di un film riuscito a tutti i livelli. Lo è come documentario ricostruito sulla Stasi e l'"età del sospetto"; come thriller a suspense; come film di spionaggio; come film storico-politico che rievoca senza tabù il passato di una nazione e non scivola nella demagogia oratoria della denuncia. Pur con qualche flashback, l'azione comincia nel 1984 e fa capo a due personaggi principali: Gerd Wiesler (Mühe), in sigla HGW XX/7, implacabile e competente capitano della Stasi (Ministero per la Sicurezza dello Stato che contava su 13 000 funzionari e 170 000 collaboratori non ufficiali), e Georg Dreyman (Koch), drammaturgo di successo e intellettuale assai apprezzato dal regime. Wiesler ha l'incarico di mettere sotto stretta sorveglianza l'inconsapevole Dreyman. Nel pedinarlo e intercettarlo per mesi, il primo comincia a farsi un'idea diversa del regime che serve e delle vite degli altri cui ha legato la sua. Nel frattempo anche l'altro cambia. Epilogo di tristezza emozionante. Girato in 37 giorni nel 2004 in 35 mm. Cinemascope (fotografia: Hagen Bogdanski) e un anno di postproduzione. Musiche: Gabriel Yared, Stéphane Moucha con la "Sonata per un uomo buono" di Beethoven. Oscar per il miglior film straniero, David di Donatello per il miglior film prodotto dall'Unione Europea, 3 European Film Awards (film, sceneggiatura, attore protagonista), 7 Lola German Film Awards, 4 premi del cinema bavarese. Rinomato attore di teatro, Mühe morì nel luglio 2007.
LA STORIA
Il tutto in un film cupo, noir, in parte romantico, vista la storia di passione e disperazione che unisce lo scrittore e l'attrice. Girato nei veri luoghi simbolo della Ddr, come l'ex quartier generale della Stasi. Frutto di anni di ricerche, da parte del regista e sceneggiatore. Ricco di particolari realistici, sulla Germania comunista: dalle prostitute di regime, usate per alleviare la solitudine degli ufficiali della Stasi, al modo di condurre gli interrogatori dei sospettati.
E, soprattutto, efficace nel rendere quella atmosfera di sottile paura, di terrore vero anche se sottotraccia, in cui vivevano i cittadini. E che Henckel von Dommersmark, malgrado la giovane età, ricorda bene: "I mie genitori erano entrambi dell'Est - racconta oggi, alla presentazione italiana del film - ma erano andati all'Ovest prima della costruzione del Muro. A volte, però, ci portavano dall'altra parte, a trovare i parenti: ricordo bene la paura che provavamo, ogni volta. E anche l'atteggiamento di chi viveva lì, quel tenere sempre gli occhi bassi".
Il suo, però, non è un film biografico. Ma un tentativo - riuscito - di raccontare quegli anni. Per questo l'autore ha visionato tantissimo materiale, e anche parlato con ex dirigenti della Stasi: "In nessuno di loro - racconta - ho visto il minimo rimorso. Un ufficiale, ad esempio, mi ha detto: 'Era la guerra fredda, e in guerra ci sono altre regole'. Insomma, usava il concetto della guerra come scusante per tutto quello che aveva fatto".
Un atteggiamento di rimozione che, paradossalmente, unisce i carnefici alle vittime. "Per legge, in Germania - racconta ancora il regista - tutti i cittadini dell'ex Ddr hanno diritto a consultare il fascicolo contro di loro della Stasi. Ebbene, solo il 10 per cento ha usato questa possibilità: gli altri preferiscono dire che in fondo allora si stava meno peggio di quanto si dice. Per non parlare dei collaboratori della polizia segreta: erano duecentomila, solo due o tre lo hanno ammesso. Gli altri sostengono che il loro risultare collaboratori era una bugia messa in giro proprio dalla Stasi!".
Tra i pochi che hanno voluto subito vedere il proprio fascicolo c'è l'attore Ulrich Muhe, protagonista e vero eroe del film. Che ha così scoperto di essere stato spiato sia sia dalla moglie, sia da quattro membri della sua compagnia teatrale. Circostanze dolorosissime che spiegano - insieme al talento professionale - la sua straordinaria interpretazione del tormentato capitano Wiesler.
Certo, resta il fatto che, al di là del contesto storico ricostruito così dettagliatamente, Le Vite degli Altri - come ammette il suo stesso autore - "tratta un tema universale: le organizzazioni di potere che violano la nostra privacy. E quello che è successo a voi in Italia, con lo scandalo delle intercettazioni. E che ha spinto Sidney Pollack a chiedere i diritti per il remake del mio film: ambientandolo però nell'America attuale. Quella del Patriot Act".
Non a caso il film si apre con un interrogatorio in cui vengono spiegate le tecniche e la filosofia operativa della Stasi. L’indiziato era accusato di aver appoggiato un “Republikflucht”, una fuga dalla Repubblica, una diserzione. Quello della guerra fredda è un mondo dove il problema era uscire e non entrare.
La Stasi, in effetti, era un sistema di sorveglianza capillare, asfissiante e totale che coinvolgeva nella sua attività cittadini ignari ma complici, personalità e subalterni, e grazie a un suo ordine caotico riusciva a entrare in spazi reconditi della società realsocialista. Documentava, archiviava, acquisiva informazioni, architettava ricatti e favoriva delazioni e tradimenti. La sua attività di sorveglianza e repressione è certamente alla base della disaffezione che ha portato al collasso e all’implosione della Repubblica democratica tedesca. “Die Stasi war immer vor der Tür” (la Stasi era sempre dietro la porta), viene ripetuto di frequente nei racconti di chi quei giorni e quelle latitudini le ha vissute in prima persona.
INTERPRETAZIONE POLITICA
Semplicemente nel film di von Donnersmarck si mostra una delle forme di affermazione dell’individuo rispetto all’apparato, del singolo di fronte ai molti in una società dalla pancia piena, alle prese con una controversa morale. Il 1984 viene trentacinque anni dopo l’insurrezione degli operai berlinesi contro l’aumento di ritmi di lavoro edile imposti per velocizzare la ricostruzione di Berlino e del resto della Ddr. La rivolta sedata dai tank sovietici fu il sintomo di un malcontento popolare diffuso ma fino a quel momento ignorato dalle autorità. Dal 1953 il controllo della popolazione, la paura del popolo è stata la paura madre di tutte le paranoie statali e sociali che hanno afflitto la Ddr.
“Le vite degli altri” pone la Stasi come uno specchio del potere e della forclusione realsocialista. E il capitano Wiesler, zelante e disciplinato funzionario, diventa nel corso della vicenda un modello esemplare di intima diserzione dalle trame del potere realsocialista. La Stasi, infatti, più che colpire la popolazione nel suo complesso colpiva gli individui, parcellizzava gli insiemi sociali e le classi tanto care alla retorica della Sed. Agiva su ricatti minimi che condizionavano il quotidiano: l’attività di banconisti di supermercati così come dei drammaturghi e intellettuali. Si muoveva a proprio agio in una società fatta da gruppi chiusi, poco permeabili, ma contemporaneamente misti e compositi, in cui gli individui ricreavano nell’intimo uno spazio pubblico personale, impenetrabile proprio perché intimo, individuale e dai tratti impolitici.
La trama del film è un susseguirsi di ricatti viscidi, una trama mossa dai vizi del potere, dalla prevaricazione. Ricatti che sembrano soggiacere in tutte le recenti rappresentazioni cinematografiche della Ddr, dalla malattia della madre del protagonista di “Goodbye Lenin” fino alla doppia identità dei militanti della Raf in fuga dopo il crollo del Muro di Berlino raccontati in “Die Stille nach dem Schuss” (“Il silenzio dopo gli spari”, 2000). Così come il ricatto, nelle sue accezioni più sottili, riecheggia nei libri di Christoph Hein, e in molti dei volumi Krimi pubblicati nella collana di genere DIE da un editore vicino al ministero per la sicurezza dello stato della Ddr. Il ricatto risuona peraltro nelle improvvise variazioni di registro linguistico, nell’ingresso della burocrazia e del potere negli usi linguistici che rappresenta un altro terreno d’indagine riguardo la società della Ddr. La narrazione della Ddr sovrappone una lingua ufficiale a una informale: c’erano parole che al di fuori della propria intimità assumevano ben altri significati e provocavano conseguenze indesiderate.
Al regista, cresciuto negli agi della miglior borghesia cosmopolita occidentale, va riconosciuta la serietà con cui viene trattato un argomento ancora irrisolto e contraddittorio come la Ddr, e la valorizzazione di quegli elementi irrazionali della società che danno vita a comportamenti e culture peculiari di contesti autoritari. Il merito di questo film non è certamente quello di aver vinto un oscar o di essere un film esteticamente originale, ma di non essere diventato un’icona della storia dei vincitori.
INTERPRETAZIONE ESISTENZIALE
Sono freddi e vuoti, gli occhi di Gerd Wiesier (Ulrich Mühe). Su di essi si ferma la macchina da presa già all'inizio di Le vite degli altri (Das Leben der Anderen, Germania, 2006,137'). E a noi pare che riflettano non la singolarità di un uomo, ma una totalità opaca. E un funzionario solerte, il capitano della Stasi. La sua è la vita di un idealista votato a una causa politica garantita da un'ideologia che ha la caparbietà assoluta di una fede. Ai suoi occhi, appunto, i singoli uomini e le singole donne sono trascurabili dettagli, sempre sacrificabili.
Insomma, il protagonista di Le vite degli altri è in buona, in ottima coscienza, come capita ai persecutori coerenti e “onesti”. Al suo confronto il ministro della Cultura Bruno Hempf (ThomasThieme)e il generale Anton Grubitz (Ulrich Tukur), non sono che dei peccatori, piccoli uomini presi dai loro appetiti, mossi dal potere e dalla carriera ben più che dalla fede. Se Gerd da vent'anni si adatta a servirli, è perché li considera, essi stessi, dettagli utili al progetto ultimo e totale. Di questo asceta, di questo santo persecutore, Florian Henckel von Donnersmarck racconta la conversione. Anzi, quel che racconta è la sua scoperta di una splendida, improbabile libertà interiore.
Fra il 1984 e il 1985, quando la Stasi mette sotto controllo Georg Dreyman (Sebastian Koch), la Germania dell'Est è un mondo chiuso, un universo totalitario su cui si stende la rete della Stasi a questa struttura capillare e paranoica partecipano circa 200 mila spie, ma il suo effetto va al di là della sorveglianza materiale e immediata. Come sempre avviene in un sistema “controllato”, la repressione delle opinioni eterodosse produce un'abitudine al consenso che a sua volta aumenta l'opinione diffusa che la repressione sia legittima. Questo circolo vizioso funziona come una spirale del silenzio: i singoli non solo temono di esprimere opinioni contro corrente, ma ne hanno e ne elaborano sempre meno, finendo per affidarsi tutti insieme e appunto in silenzio alle poche permesse e dominanti.
La conferma di questa spirale è proprio Georg, che molto deve al valore della sua scrittura, ma anche alla sua tacita adesione al regime. Per quanto avverta attorno a sé l'opera della Stasi, e per quanto ne veda soffrire crudelmente i suoi amici, sempre trova ragioni per giustificarla. Lo stesso accade alla sua compagna Christa-Maria Sieland (Martina Gedeck), attrice che somma talento e opportunismo. Anche per loro - o forse soprattutto per loro, che han da perdere successo e privilegi - vale il principio che accodarsi al gregge è più facile che rischiare la propria strada. C'è in questa loro “cecità” una progressiva corruzione. Obbedire e adattarsi rende l'obbedienza e l'adattamento sempre più facili, e sempre più difficile la decisione di opporsi con un no, finché viene accettata qualunque bassezza, nella certezza che sia normale.
Che si sia persecutori o che si sia vittime, in questa corruzione interiore si perdono la capacità e ancor prima la volontà di affrancarsi dall'universo totalitario, e dalla resa morale alle sue pretese. Al termine della spirale c'è una servitù che porta al tradimento della propria dignità residua e dei propri sentimenti. Così fa appunto Christa-Maria, che si lascia convincere alla delazione, pur provandone orrore. I suoi troppi sì e i suoi ripetuti compromessi con la propria coscienza non le lasciano alcuna via di fuga.
Del tutto prigioniero di questo stesso silenzio morale, da dove verrà a Gerd l'esigenza di liberarsene? Se Henckel avesse propensione all'ideologia, se come il capitano fosse tentato da una fede, ce lo racconterebbe alle prese con nuovi valori, opposti ai suoi vecchi, e magari come quelli totali e invadenti. Invece la sua sceneggiatura segue una prospettiva inaspettata, forse la sola che possa rendere il personaggio credibile, per quanto improbabile appaia nella quotidianità delle umane ignobiltà (e per quanto sembri più affidata alla nostra immaginazione che davvero motivata).
Nascosto in soffitta, intento a registrare e quasi a duplicare il mondo privato di Georg e di Christa-Maria, Gerd scopre qualcosa di cui mai ha avuto sentore. I suoi due sorvegliati, i due dettagli senza valore, hanno una vita diversa da ogni altra. In essa, nei suoi sentimenti e nei suoi tradimenti, nelle sue attese e nei suoi timori, finalmente la spia della Stasi riconosce singolarità che chiedono rispetto e cura Basta questo per convincerlo a pronunciare il no che per tutta la vita non ha pronunciato. E quando il film, si chiude, nei suoi occhi c'è una dolcezza improvvisa, trasparente e ricca come la sua nuova libertà.